“Soggetti originali” di Maurizio Sciaccaluga

"Soggetti originali" di Maurizio Sciaccaluga

Rappresentazione quasi teatrale di una condizione collettiva di solitudine e straniamento, riflessione consapevole e scenografica circa l’ineluttabilità del destino e degli eventi che concorrono a determinarlo, le opere pittoriche di Stefano Bonzano rispettano in toto tempi e modi della scansione cinematografica, presentandosi quali soggetti originali su cui basare la costruzione di una eventuale narrazione filmica.

Colori, tonalità, pennellate e figurazioni obbediscono alle leggi della fotografia e del montaggio, forzano lo spazio scenico del quadro – altrimenti delimitato – e presentano la creazione come attimo sospeso, fotogramma in attesa di un finale ancora lungi dall’avvenire.

Inseguendo inquadrature sovversive ed inconsuete, impedendo con quinte e fondali una ricerca reale e non fittizia della terza dimensione, organizzando l’ambiente come palcoscenico e lo spazio come tempo, l’artista insegue ed anale la finzione e l’allestimento, l’interpretazione della solitudine invece che l’isolamento stesso, la resa spettacolare della malinconia piuttosto che tristezza ed apatia reali.

Il pittoricismo di Bonzano è paradossalmente metateatrale, cinema per il cinema, dunque meno lontano da Amleto – il Prince di Danimarca guarda se stesso e le proprie vicende, di cui, è regista e sceneggiatore, riproposti dalla compagnia dei commedianti – che da coeve ricerche prettamente artistiche.

Stefano costruisce dipinti da cui repentinamente si astrae, chiamandosene fuori, per poi guardarsi agire all’interno degli stessi, nel mentre trasforma la «soggettività» in «piano sequenza» e successivamente – sempre per gradi – il «piano americano» in «panoramica».

Autore del quadro, l’artista ne è – alla maniera di Pirandello –  contemporaneamente anche personaggio e protagonista, indi riflette oramai freddamente circa le occasioni avute e perse, i contatti sfiorati e mancati, i silenzi paralleli ed ingiustificati.

Frattanto traccia un percorso – probabilmente inconscio – attraverso un patrimonio immaginario collettivo, mutuando situazioni ed affezioni dal mondo contemporaneo dello spettacolo: le scene finali (il contatto appena accennato) di 2001: A Space Odyssey e Close Encounters of the Third Kind, la realizzazione a scatole cinesi di Le charme discret de la bourgeoisie, la tipica struttura ad incastro di The Killing e dei films di Quentin Tarantino, i presagi inquietanti e labirintici di The Shining e certe atmosfere angosciose di Metropolis e Modern Times tornano ciclicamente rielaborate nelle opere del pittore piemontese.
In un lavoro – un palcoscenico a gradini ove stanziano, separate da piccoli lati, figure tra loro abissalmente lontane – possono leggersi addirittura il pallore e la passionalità dell’incontro fugace tra Gene Kelly e Cyd Charisse nell’unico numero in stile modernista di Singin’ in the rain.

Bonzano non si limita a rappresentare l’incomunicabilità e l’indifferenza tra gli individui; segnala piuttosto le battute necessarie per comunicare al pubblico detta incomunicabilità, sottolinea i movimenti di scena atti a render nota l’insoddisfazione, cerca con attenzione l’effetto e l’evento (anche sotto forma di avvenimento mancato).

Le sue opere sono Teatro dell’Assurdo elevato alla doppia potenza, sono Ben e Gus che guardano l’allestimento de Il Calapranzi di Pinter, sono note di regia che spiegano come muoversi tra i meandri delle quinte e dei ciak.

Lavori in fieri, attrezzati quali bozze di sceneggiatura e non come universi compiuti, le tele qui rappresentate raccontano ed affrontano i labirinti dell’elaborazione del pensiero e della costruzione mentale, oltreché quelli della passione e del desiderio non corrisposto; prediligendo come l’occhio della telecamera l’attimo della disillusione e della rinuncia, esse propongono il grido taciuto dell’uomo solo ed intrappolato, il silenzio urlato della massa cui si impedisce di scegliere o fuggire.

Tra costruzioni architettoniche rigide, razionali, essenziali e simmetriche – che ricordano assiduamente l’esistenza di un destino inevitabile e cieco, cattivo – ogni individuo è invitato a presentarsi al pubblico con dignità e rassegnazione, implorando un Autore che renda storia e passato al suo personaggio.

Altrimenti rimarrà, ombra e sagoma senza spessore, soltanto maschera della sconfitta e di una narrazione mai nata.

Maurizio Sciaccaluga
Genova, gennaio 1995

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